E’ da qualche ora che sto guidando. Non ho una destinazione precisa, sono diretto verso il centro del deserto. Tengo schiacciato l’acceleratore, non ho più marce da scalare. Non che ci siano limiti di velocità in questa zona, neanche ci sono strade. Continuo a guidare finché il serbatoio si svuota, l’auto perde la sua accelerazione, e continua a viaggiare ancora per un po’ solo grazie all’inerzia. L’auto si ferma del tutto, metto in prima, tiro il freno a mano e la spengo. Scendo dall’auto e apro il bagagliaio, scarico tutto il necessario.110Please respect copyright.PENANAh6A4TdtkRG
Preparo l’ombrellone, riempio la base di sabbia per tenerlo fermo, monto l’asta e lo apro. Un po’ di ombra per proteggermi da questo caldo allucinante. La tela ha dei colori sgargianti, sembra quasi il tendone di un circo. Sotto ci posiziono la sdraio, ci metto più del dovuto perché non ho mai capito come aprire questi maledetti aggeggi senza distruggermi le dita, ma con qualche imprecazione ci riesco. E’ molto umile, beige, di quella tela finta di plastica. Non è il massimo ma mi dà quasi un senso di nostalgia. Come con un lenzuolo la copro con un salviettone, enorme, su cui stampato sopra ci sono dei gattini dagli occhi enormi. Abbastanza inquietanti, se devo essere sincero. Alla destra della sdraio preparo il tavolino pieghevole. Sopra ci metto una ciotola di plastica, apro un sacchetto di patatine e la riempio. Di fianco al tavolino posiziono il minifrigo portatile.110Please respect copyright.PENANAaLajjXmIyn
Ora tocca a me mettermi a posto. Mi tolgo i vestiti e mi metto il costume da bagno. E’ uno di quelli a pantaloncino, la grafica stampata sopra ricorda molto La Grande Onda di Kanagawa. Mi metto un vecchio cappello a visiera, giallo ocra, decorato con il logo di una squadra. Non ho mai seguito lo sport, eppure in qualche modo questo cappello è finito lo stesso tra le mie mani. Mi corico sulla sdraio, apro il minifrigo e tiro fuori una bella lattina di birra congelata. E’ una marca scadente, gradazione alcolica bassa, e quando la bevi ti sembra di leccare un tubo di ferro. Apro la lattina e prendo un bel sorso. Sento la ruggine incollarsi sul mio esofago, questo liquido metallico che mi gonfia lo stomaco come un gavettone. Sensazione piacevole, dopotutto. Per assorbire il veleno che ho appena buttato in corpo prendo una manciata di patatine e me le caccio in bocca, una sinfonia di croccantezza, in cui la mia mascella fa da direttore d’orchestra, i miei denti da musicisti. Una cacofonia talmente forte da oscurare i miei stessi pensieri. Anche queste sono patatine economiche, la forma è identica a quella di un’altra marca più famosa, il nome è un gioco di parole sul nome di quest’ultima, forse per evitare di venire azzannati dagli avvocati che verrebbero sguinzagliati, forse per imbrogliare qualche nonnina mezza cieca che voleva comprare la merenda per i nipotini. Il sapore è “formaggio”. Ma quale formaggio? Questo è solo un simulacro del formaggio, componenti chimici ordinati apposta per farti immaginare il formaggio. Se il formaggio avesse veramente questo sapore avremmo abbandonato l’idea già migliaia di anni fa, quando l’uomo ha iniziato a far ammuffire il latte. Però mi piace questo sapore, finto, chimico. Forse mi piace ancora di più della versione originale.110Please respect copyright.PENANAOpgKaXXSk9
Volgo il mio sguardo verso l’orizzonte. Nulla intorno a me per migliaia di chilometri. In fondo riesco a vedere la vetta di qualche montagna, abbastanza alta da oltrepassare la curvatura della Terra e raggiungere il mio campo visivo. La lattina bagnata dalla condensa è nella mia mano sinistra. Faccio un piccolo rutto. Sollevo il braccio destro, e lo tengo teso in orizzontale davanti a me. Chiudo la mano unta in un pugno, e sollevo in alto il pollice, come se stessi dando l’Ok a qualcuno. Chiudo l’occhio sinistro e osservo il pollice con il destro, come se stessi prendendo la mira con un fucile. Con il pollice provo a coprire la cima di una montagna. Speriamo che vada tutto bene.110Please respect copyright.PENANAbDyuYRslSm
Mentre sono qua a crogiolarmi tra veleno metallico e bocconcini di grasso croccante, inizio a pensare. Sono qua in mezzo al nulla a ingozzarmi di schifezze, solo per migliaia di chilometri, l’unico suono è quello della mia mascella che mastica. Questa è la fine, e io ho preso il posto in prima fila, davanti al palcoscenico. Ho rimpianti? No… forse. Sarebbe ipocrita affermare di non avere ripensamenti su nulla, sulla mia vita e sulle mie decisioni. Ma a questo punto, sull’orlo dell’apocalisse, servirebbe a qualcosa?
Onestamente? Sono contento. Perché nonostante tutto ho fatto tante cose buone. Non penso di aver lasciato la mia impronta nel grande sentiero della Storia, ma penso di aver lasciato il segno nell’anima delle persone giuste, le persone che ho amato e che mi hanno amato, e secondo me alla fine questa è la cosa più importante. Quindi sì, sono in pace. Bevo birra scadente e mangio patatine nauseabonde, ma almeno mi fanno sentire vivo. Forse per l’ultima volta. Non sono neanche le migliori birre o le migliori patatine perché a volte va bene così. A volte essere felici con quello che si ha va bene. Certo, puntare al meglio è giusto, ma se non lo si raggiunge non bisogna neanche flagellarsi. Io posso continuare a parlare di formaggio quanto voglio, ma non è quello il punto. Possiamo concentrarci su cose inutili all’infinito, pur di non guardare in faccia i problemi veri. Perché in qualche modo alla fine di questo viaggio ci ritroveremo tutti in mezzo al deserto, sotto a un ombrellone, bevendo e mangiando con quello che abbiamo comprato con i soldi che abbiamo guadagnato. E non penso che chi mangerà caviale e berrà champagne sotto l’ombrellone sia in pace quanto me in questo momento. Semplicemente champagne e caviale non sono adatti per un aperitivo sulla spiaggia. Almeno, non nel mio aperitivo. La mia pelle brucerà, i miei occhi si scioglieranno, ma va bene così, perché so che ho fatto il massimo di quello che avrei potuto fare, so che-110Please respect copyright.PENANAmNr4aKVwko
Una luce forte, accecante. Intorno a me è tutto bianco. Poco dopo una fortissima ondata di vento mi colpisce, quasi mi butta giù dalla sdraio. Sollevo il braccio destro, e lo tengo teso in orizzontale davanti a me. Chiudo la mano in un pugno, e sollevo in alto il pollice, come se stessi dando l’Ok a qualcuno. Chiudo l’occhio sinistro e osservo il pollice con il destro, come se stessi prendendo la mira con un fucile. Con il pollice provo a coprire il Fungo. E’ troppo grande, non riesco a coprirlo. Faccio un ultimo brindisi con l’ultima lattina di birra.
Va tutto bene.110Please respect copyright.PENANApsb9eCRCbT