Mi guardai intorno, era tutto buio; sorrisi. Spalancai le braccia, protendendo le mani verso il cielo, cercando inutilmente di afferrare ciò che non potevo vedere. Sospirai e feci lentamente ricadere le braccia lungo i fianchi, appoggiando le dita sulla tasca posteriore in cui era contenuto il telefono in modalità "silenzioso". Sapevo che nessuno mi stava cercando, nonostante la tarda ora, ma continuavo stupidamente a sperare che potesse arrivare il momento in cui, quel telefono avrebbe improvvisamente preso a squillare, forse questo mi avrebbe salvata, forse non ce ne sarebbe stato bisogno. Mi avviai con calma verso casa, ero stanca e non potevo permettermi di dormire sul banco l'indomani, ci sarebbe stato un'importante test, un test che mi avrebbe permesso di sbattere in faccia a mia madre la mia intelligenza, per sbatterle in faccia l'esatto motivo per cui non mi avrebbe mai e poi mai portata via dalla scuola.
Arrivata a casa feci il meno rumore possibile, per evitare di svegliare il can che dorme e di prendermi una strigliata. Aprii lentamente la porta della camera, per poi richiuderla con altrettanta cautela e tuffarmi di conseguenza nel mio letto. Sentii una lacrima scendere sulla mia guancia, non ne capii neanche il perché, probabilmente ero solo troppo abituata ad affondare la faccia nel cuscino e lasciarmi finalmente andare, senza pensarci troppo, senza permettere al mio cervello di interferire con sentimenti; in un attimo, senza che me ne accorgessi, mi addormentai, cadendo amabilmente tra le braccia di Morfeo.
La mattina seguente mi svegliai, avevo delle occhiaie che mi facevano paura, ma dopo una doccia fredda sembravano quasi essere scomparse. Quando scesi a fare colazione trovai mia madre seduta sulla poltrona del salotto, intenta a fissare la tv e a bere come una spugna. Scrollai le spalle, afferrai una mela dal cesto posto sul tavolo della sala da pranzo e uscii con lo zaino sulle spalle. Non appena misi piede fuori dalla porta venni assalita da un gruppo di ragazze della mia classe. Le salutai con un cenno della testa, cominciando a seguirle addentando un po' alla volta la mia colazione. Le osservai attentamente, non notai assolutamente niente fuori posto, ma in fondo cosa avrei dovuto aspettarmi da loro se non la perfezione? erano tutte truccate in modo un po' pesante, avevano le gonne della divisa leggermente sopra rispetto al normale, i capelli con la piega e lo zaino su una spalla come vere ragazze delle superiori, come vere ragazze popolari; tutto ciò mi mandava in confusione. Non le capivo, volevano essere alla moda, ma poi se ne andavano in giro con me, la sfigata che odiava il trucco, odiava la moda, odiava tutto quello che veniva considera per "ragazze cool". Forse lo facevano solo per compassione, ma fatto sta che non era normale che si facessero vedere in giro con me. La cosa era cominciata qualche settimana prima, quando per qualche strano motivo loro mi avevano affiancata nel tragitto per andare a scuola. Non dissi mai niente in contrario a quello che facevano, non mi interessava, esattamente come non mi interessava conoscere veramente nessuna di loro, come a loro non interessava sapere come mi chiamassi.
Dopo pochi minuti di camminata arrivammo davanti al cancello della scuola, sentimmo la prima campanella suonare, segno che dovevamo sbrigarci se volevamo arrivare in tempo in classe. Cominciai subito a correre, lasciandole indietro nelle loro inutili chiacchiere, entrando in aula un paio di minuti prima. Mi sedetti nel mio banco, in ultima fila, predisponendo sul tavolino di legno tutto il necessario per il test che avremmo dovuto conseguire. Si trattava di un quiz su Algebra, materia in cui andavo molto bene, con un'aggiunta di domande relative all'ultimo argomento che avevamo fatto in scienze, il sistema nervoso. Appena il professore entrò in classe, senza salutarci, ci sistemò davanti un foglio, completamente bianco, se non per una domanda, scritta a mano e poi fotocopiata. Inclinai leggermente la testa, chiedendomi che cosa stesse succedendo. Lessi attentamente il quesito, aspettandomi che fosse una domanda complicatissima, che bastasse per dare una valutazione, ma invece c'era semplicemente scritto: "descrivi te stessa/o". Rimasi di stucco per un paio di secondi, mentre un flusso di pensieri mi avvolgeva, portandomi a pensare di tutto per rispondere a quella semplicissima domanda, ma che in realtà, nascondeva un qualcosa di complesso, difficile da decifrare. In un primo momento volli scrivere una di quelle belle frasi da persona vanitosa tipo "sono solo una ragazza timida che vorrebbe integrarsi, ma so che ce la farò, mostrerò a tutti il mio immenso carisma!" ma poi ci ripensai, in fondo, dopo tre anni, il professore doveva pur aver capito qualcosa di me, doveva essere capace di capire se mentivo ad una banalità simile! E fu così, che dopo molti ripensamenti, autoconvinzioni e sospiri rumorosi, decisi di scrivere una mezza verità: "a pezzi ma in cerca di felicità, non mi arrenderò". Consegnai il foglio al professore che ovviamente lo lesse. Dopo pochi secondi alzò lo sguardo su di me, incastonando i suoi occhi neri e severi nei miei, chiari e smarriti; gli sorrisi e annuii, tornando a sedermi e aspettando che anche tutti gli altri finissero.
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