Nell'aula c'era molto brusio della gente presente. Borbottavano qualcosa che non era comprensibile ma che, con tutta probabilità, andava contro il ragazzo seduto lì davanti, nel banco degli imputati, con la testa china; pareva triste. Calixum, questo era il suo nome, o per essere più precisi, Calixum Flamvell. Tra le voci era possibile riconoscere qualche parola, tra cui: "Ladro, feccia, rifiuto, vergognati per quello che hai fatto". Ma per sua fortuna le persone lì presenti non erano tutte così, alcune di loro tentavano di difenderlo, anche se senza grande foga, ma pur sempre stando dalla sua parte, nonostante fossero circa un terzo.
Calixum pareva non fare troppo caso alle parole che dicevano sul suo conto, sembrava fosse abituato. Rimase in silenzio, con il capo rivolto verso dei fogli nei quali era scritto il referto, per così dire, di ciò che aveva commesso.
A un certo punto, forse finalmente per interrompere i chiacchiericci sul suo conto, il giudice entrò in aula, facendo calare il silenzio. Si alzarono tutti quanti i presenti, i quali erano lì o per mera curiosità o per vederlo colpevolizzato di qualcosa.
Iniziò a parlare il giudice Damir Ogarkov che, dato l'accento e il suo cognome, dava l'impressione di essere originario dell'est Europa, forse russo, ma poco importava. Dunque, cominciò così: «Calixum Flamvell, lei è accusato dalla famiglia Siris di furto di vari oggetti – di cui alcuni anche di valore – posseduti dal qui presente Siris Garun, il quale dice di averla colta in flagranza di reato. Ciò conferma il fatto che lei sia una persona pericolosa per la società. Ora, data l'assenza di un suo avvocato difensore e la non assegnazione d'uno d'ufficio per le circostanze del crimine commesso, può lei stesso testimoniare in sua difesa. Signor Calixum Flamvell, le ricordo che qualsiasi atteggiamento scorretto e qualsiasi parola da lei pronunciata potrà ritorcersi contro di lei aggravando la sua situazione. Detto questo le lascio la parola».
Il silenzio in aula fu assordante e fastidioso. Era come se si trovasse in una camera anecoica, una di quelle stanze in cui le uniche cose che si sentono sono i rumori, per così dire, propri, come il respiro, il quale diventa man mano sempre più affannoso. Per non parlare del cuore, sentirlo pulsare in quel modo non aiuta affatto. Il tutto fa raggiungere uno stato d'animo al limite della pazzia. Ecco, questo era quello che stava provando Calixum nell'aula di tribunale, forse senza la pazzia, ma comunque rimaneva una situazione difficile da gestire per un ragazzo come lui.
Fu in quell'istante che Calixum si immerse nei suoi pensieri più profondi: perché si trovava lì, in un tribunale, a testimoniare per sé stesso?
Forse per evitare una punizione importante? Mi sembra ovvio.
Calixum sapeva perfettamente il motivo, ma non era in lui in quel momento, era troppo sovrappensiero, estraneo alla realtà.
Partirono così nella testa le immagini di lui che andava a casa di Garun per rubargli... anzi per riprendersi ciò che era suo e che gli era stato sottratto tempo prima.
Garun era una di quelle persone della città che si potevano considerare vip, perché magari erano ricche o benestanti, oppure avevano genitori famosi o cose del genere; fatto sta che voleva avere più diritti degli altri: non poteva e non voleva essere punito e tutte queste storie che già si sanno. Per questo Calixum aveva voluto e aveva dovuto rubarle, perché altrimenti sapeva che non avrebbe avuto modo di riaverle. Però nessuno avrebbe mai creduto a lui.
La voce forte e profonda del giudice ruppe i pensieri di Calixum, facendolo tornare alla realtà, nella sala.
«Signor Calixum Flamvell, vedo che dopo tutta questa attesa non ha niente da dire a sua discolpa. Quindi mi vedo obbligato a passare la parola all'accusa dell'avvocato Siris Berraq, il padre di Garun, il quale non troverà alcun ostacolo. Prego, vada pure».
«La ringrazio, signor giudice. Come ha sentito, o meglio non ha sentito, il qui presente Calixum Flamvell non si auto difende, inoltre non ha voluto assumere alcun avvocato per provare la sua innocenza. Cosa vuol dire? Sa che è una causa persa e ha deciso, giustamente direi, di arrendersi. Questo ragazzaccio è stato colpito in flagranza di reato, quindi sta a lei, signor giudice, scegliere le sorti di suddetto ladro, il quale ha rubato tutti questi oggetti, rinvenuti in casa sua» disse mostrando tutti gli oggetti poggiati su un tavolino, tra cui una scatola contenete pietre, probabilmente da collezione e il resto libri. Successivamente riprese a parlare, ma stavolta per provare a dargli la maggiore pena possibile.
«Signor giudice, lo sappiamo tutti che Calixum è un criminale, non c'è prova che testimonia la sua innocenza. Questo ragazzo voleva rovinare l'integrità della famiglia Siris. Esigo per tanto che il ragazzo venga punito a dovere, facendo in modo che esso possa capire ciò che ha fatto. Sa, non si vuole mai avere un criminale in città, sarebbe quindi oltraggioso lasciarlo agire liberamente nella nostra città come se nulla fosse. Detto questo, credo di aver concluso. Lei sa cosa fare adesso, speriamo che sia la scelta giusta, la scelta che tutti quanti vogliono e che tutti quanti necessitano per essere più sicuri.»
Ed ecco che a volte la fortuna non abbandona le persone che ne hanno davvero bisogno: improvvisamente, e stranamente si potrebbe anche dire, entrò in aula un uomo vestito di nero, con occhiali da sole scuri, con una lunga barba marrone così come i capelli. Era un uomo dall'aria sicura di sé, sembrava essere un classico uomo d'affari. Si era intrufolato nell'aula senza sapere come, date le guardie fuori. Ovviamente a Calixum faceva parecchio strano vedere quell'uomo, gli sembrò avere un non so ché di familiare, ma non riuscì capire da dove provenisse tale presentimento. Anche se lo avesse conosciuto, vestito in quel modo era irriconoscibile.
«E lei chi sarebbe? Come ha fatto a entrare così in aula durante un processo? Perché si trova qui?» disse il giudice indispettito.
«Chi vuole che sia?! Sono l'avvocato difensore di Calixum Flamvell e sono qui per dimostrare la sua innocenza. Non le ha detto nulla di me? Strano, forse non lo sapeva, potrei essermelo dimenticato, o forse no.»
«Bene allora, si sieda vicino all'imputato e si levi quegli occhiali scuri e il cappello, non è di sicuro l'abbigliamento consono per un'aula di tribunale e inizi pure la sua difesa.»
Intanto, la famiglia Siris aveva in volto un'espressione tra l'arrabbiato e il preoccupato.
L'uomo così fece, tranne per il togliersi cappello e occhiali, e si andò a sedere vicino a Calixum, che non sapeva chi fosse e soprattutto non sapeva perché era lì ad aiutarlo, però non rifiutò una mano in quel momento complicato.
«Cos'ha da dire in difesa dell'imputato?» continuò il giudice.
«Calixum Flamvell è stato visto mentre tentava di rubare degli oggetti al qui presente Garun. Ma Calixum non stava rubando, bensì si stava riprendendo ciò che era di sua legittima proprietà, come questo libro.»
Lo disse prendendo dal tavolo degli oggetti un libro con la copertina un po' rovinata ma comunque ben messo per poi poggiarlo sul bancone del giudice.
«Questo libro è uno degli oggetti che Calixum stava rubando, come dichiarato da Garun stesso. Cosa vuole insinuare?» disse il giudice un po' titubante nell'azione fatta dall'uomo.
«Questa è la prova decisiva che scagionerà l'imputato. Apra il libro e legga lei stesso.»
Il giudice fece come detto, aprì il libro e lesse ad alta voce: «Per Calixum, dai tuoi genitori».
L'uomo sembrava alquanto felice nel vedere il viso dei Siris che avevano capito che ormai diventava difficile riuscire a vincere. E tutto per una semplice ma decisiva prova. Una semplice scritta fu in grado di scagionare Calixum, una dedica che lui ricordava bene, ma che non riusciva a dirlo da solo.
«Signor... Come ha detto che si chiama?»
«Mi chiami Raghallac.» In aula scoppiò il brusio generale della gente, che insinuava: "Raghallac, ma è proprio lui? Secondo me no, non è possibile. Che ci fa qua?".
Intanto Raghallac si sedette al suo posto, aspettando le risposte dal padre e avvocato di Garun, che sembrava tutt'altro che tranquillo. Stava sudando per la paura di perdere la causa e forse anche un po' di dignità.
L'avvocato però non sapeva di queste cose, provò a difendere il figlio in qualche modo, fino a quando Damir non lo interruppe dicendogli che andava bene così e che da lì a pochi minuti si sarebbe sistemato tutto e avrebbero dato il verdetto definitivo.
Andarono così le cose. Rientrò in aula e passò davvero poco tempo, questione di minuti che stavano a significare la convinzione delle scelte del giudice. Poi, grazie anche alla giuria, annunciarono il verdetto finale: «Calixum Flamvell, è assolto dalla pena e vogliamo scusarci per l'inconveniente. Quindi, come è giusto che sia, le sarà restituita ogni cosa sia di sua appartenenza, a partire da questo libro».
Spedirono tutto in uno scatolone diretto a casa di Calixum, tranne una cosa, appunto, il libro. Questo venne restituito da Raghallac una volta usciti dall'aula del tribunale.
«Calixum, vieni con me che ti devo parlare di una cosa, però non mi piace stare in questo luogo pieno di gente. Sentivo da fuori già troppi pettegolezzi per i miei gusti, meglio evitare problemi. Ti va se andiamo al lago?» domandò Raghallac.
«Va bene, tanto non ho nulla di importante da fare. Ah, grazie di avermi aiutato con la causa» rispose Calixum ancora confuso da chi fosse.
Durante la camminata, Calixum si domandò come faceva a sapere chi fosse. Perché lo aveva voluto aiutare? Tutto ciò senza essersi mai visti prima d'ora. Arrivarono al lago e gli chiese tutte queste cose: «Perché quando hai rivelato la tua identità, in aula è scoppiato un brusio generale? Chi sei?».
E quindi iniziò a parlare Raghallac: «Caro Calixum, come sai io mi chiamo Raghallac, non sono di queste parti, vengo da un regno più lontano, il regno Askeir, uno dei posti più belli in assoluto. Il regno è suddiviso in sei regioni e in una di queste vi è un grande Albero che mantiene la calma e l'armonia nel regno, permette la vita ed evita che il mondo venga sopraffatto dalle tenebre. Inoltre, tiene ancorate a sé tutte le regioni con le sue forti e possenti radici che attraversano tutto il regno. I suoi rami invece aiutano a difendere in caso di necessità».
Calixum non aveva mai sentito parlare di un posto simile e pareva quasi assurdo, ma dalle reazioni della gente pensò che fosse importante. Poi Raghallac riprese a parlare: «Calixum, vedo che non conosci a pieno il nostro regno, quindi devi sapere che non tutti possono far parte dell'Askeir, perché solo il grande albero può scegliere chi è degno e chi ha le capacità per accedervi. Tu sei stato scelto. Generalmente non sono io a chiamare le persone, ma persone incaricate a tale compito. Tu sei... un caso a parte, per così dire».
Detto questo, Calixum fu ancora più confuso di prima, non si spiegava perché lui sì e altri no, ma non fece domande e rimase in silenzio ad ascoltare cosa avesse ancora da dirgli Raghallac.
«Io sono Raghallac, responsabile delle sei regioni, incaricato dall'Albero stesso. Per questo sono abbastanza conosciuto e quando sono entrato in aula tutti si sono stupiti. Calixum, devi ritenerti fortunato.»
Ciò che riuscì a capire Calixum era che Raghallac fosse un uomo orgoglioso e non molto modesto.
Calixum rimase lì in silenzio a riflettere sul da farsi, per poi giungere a una decisione: «È molto interessante la tua proposta, ma non posso accettare di venire con te. Non voglio abbandonare la mia famiglia».
«Calixum, lo so che sono arrivato così improvvisamente e senza alcun preavviso e che puoi essere un po' spaventato dall'idea di allontanarti da questo mondo che non è un granché, diciamocelo chiaro. Però ti sei perso un dettaglio, tu sei abbastanza famoso tra gli abitanti del regno di Askeir, molti sanno la tua storia, compreso me. So che vivi da solo, perché i tuoi genitori...» disse Raghallac che venne bruscamente interrotto da Calixum.
«Sì. I miei genitori sono morti in un incidente e sono rimasto da solo praticamente da sempre. Ma non ho intenzione di venire con te, io non ho mai sentito parlare di questo albero, di questo regno né tanto meno di te; quindi, ti ringrazio ancora per avermi aiutato con il processo, però rifiuto la tua offerta e da adesso le nostre strade si divideranno. Addio e grazie ancora per tutto.»
Calixum, detto questo, si incamminò verso casa sua, pensando continuamente a ciò che gli era stato detto da quel signore strano. Rifletteva sul fatto che poteva o meno essere una cosa che avrebbe potuto cambiargli la vita.
Rientrò in casa tutto solo, senza genitori e senza amici, guardò l'ora, prese qualcosa da mangiare nel frigo e, una volta finito, andò a dormire per provare a dimenticare il tutto e per far passare quella giornata all'apparenza infinita.
Si sdraiò e chiuse gli occhi, ma poco dopo iniziarono gli incubi. Continuava a sognare quell'uomo che gli riproponeva costantemente di seguirlo nel regno. Poi nel sogno apparve una persona con una tunica grigia, con la faccia interamente fasciata di una benda bianca, senza lasciar vedere qualche minimo dettaglio del volto. Indossava una coroncina nera sulla testa con incastonate delle gemme bianche brillanti.
Camminava lenta per le vie del suo paesello con in mano una busta, come quelle della posta. Pian piano sembrava avvicinarsi alla sua casa, o meglio, alla vecchia casa dei suoi genitori, per consegnarla. La mise nella cassetta delle lettere. Il sogno si interruppe e Calixum si svegliò: erano le tre del mattino.
Preso dalla curiosità, e un po' dallo spavento, scese le scale per dirigersi verso la buca per le lettere e per assicurarsi che il sogno non fosse reale.
Aprì la porta e non c'era anima viva nel quartiere.
Guardò dentro la buca ed effettivamente c'era una lettera. Lì per lì gli venne uno spavento, poi pensò: "Magari è una lettera che ho dimenticato qualche giorno fa, è da molto che non guardo se ho della posta".
Ma si sbagliava. Prese la lettera e la portò dentro casa per aprirla e per vederne il contenuto; una volta aperta, fece un balzo all'indietro con la sedia dovuto a ciò che aveva letto.
La lettera diceva:
«Caro Calixum, questa lettera è un invito per il regno di Askeir, sta a te la scelta. Ricordati che nel mondo in cui tu vivi adesso, non potrai mai apprendere al meglio i tuoi poteri. Qui imparerai le migliori arti magiche che neanche immagini. Quello che hai visto potrebbe interessarti.
P.S.: Se accetti, presentati per le tre in punto davanti al lago dove ti ho parlato del regno. Se invece non ti presenterai all'appuntamento fissato, io partirò senza di te e non farò mai più ritorno, lasciandoti stare tranquillo nel tuo mondo per sempre. Grazie e buonanotte».
Calixum era indeciso, capì che i suoi sogni erano stati manomessi da Raghallac per consegnare la lettera, ma la cosa non lo spaventò più di tanto, anzi lo convinse ad andare lì, tanto nel posto in cui si trovava non viveva bene: senza amici e familiari non poteva continuare a lungo. Inoltre, il fatto di modificare i sogni e tutte le varie arti magiche lo incuriosivano parecchio, oltre ovviamente a confonderlo, come era normale che fosse. Tornò quindi nel letto, e questa volta dormì molto tranquillamente.
Arrivò la mattina seguente e Calixum attese con ansia le tre del pomeriggio, orario dell'appuntamento con Raghallac.
Iniziò a pensare a cosa doversi portare dietro, ma non gli venne in mente niente, probabilmente non era il caso di prepararsi una valigia. Per alleviare la tensione, andò a fare una lunga passeggiata per il paese, questo dopo aver fatto colazione. Calixum non la saltava mai, era come un rituale per lui.
Uscì di casa e virò verso il vialetto sottostante, dato che faceva molto caldo e quello era ideale per passeggiare un po' all'ombra degli alberi dal verde brillante.
Camminò fino ad arrivare in fondo al viale, dove fece un incontro sgradevole: Garun.
Calixum, tentò di non incrociare il suo sguardo, deviò il cammino, ma fu tutto inutile, venne visto e puntato dal ragazzo.
«Ehi, sfigato, dove pensi di andare? Non vuoi neanche salutarmi? Maleducato come comportamento da parte tua» disse Garun con quella sua voce arrogante.
In quel momento, Calixum provò una sensazione di paura, ma che venne subito sconfitta dal pensiero che da lì a poco avrebbe abbandonato quel posto. Riuscì quindi a rispondergli con freddezza e tranquillità: «Vado dove voglio. Ti saluto nella speranza, o forse certezza, che non ci vedremo mai più per mia fortuna».
«Come ti permetti di parlarmi così, insulso moccioso che non sei altro. Vieni qui, che te la faccio pagare, io e te abbiamo un conto in sospeso.»
Calixum non aveva intenzione di farsi picchiare da Garun; perciò iniziò a correre con il ragazzo alle spalle, come succedeva di solito, ma questa volta non poteva farsi prendere, non poteva tardare per colpa sua.
Arrivò a un bivio tra una serie di case a schiera.
Ebbe il tempo di guardarsi intorno per decidere, dato che era riuscito a seminarlo, però poi lo vide spuntare in lontananza, obbligandolo a prendere in fretta una decisione. Destra? O sinistra? Destra.
Voltò a destra dove c'erano due cassonetti. Per sfuggirgli aveva una sola possibilità: buttarsi dentro a uno dei due.
Fortunatamente, scelse quello della carta, quindi neanche troppo schifoso e maleodorante.
Sentì arrivare Garun e il suo fiato affannoso e stanco. Dato che non è abituato a tali corse, l'odio incondizionato nei confronti di Calixum e il fatto di aver perso la causa lo obbligarono a fare questo sforzo fisico, voleva mettergli le mani addosso e soddisfare la sua sete di vendetta.
Quindi passò di lì pensando ad alta voce: «Dove si è andato a nascondere quel bastardo. Gliela farò pagare!»
E riprese la corsa lungo la strada, alla cieca, nella speranza di trovarlo.
In quel momento, Calixum si sentì felice perché sapeva che non lo avrebbe mai più rivisto. Quella sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbe dovuto nascondere da lui.
Aspettò per sicurezza ancora un paio di minuti prima di uscire dal cassonetto.
"Non si sa mai che torni indietro o esca dall'angolo improvvisamente perché non se n'era mai andato via. Prevenire è meglio che curare".
Una volta fuori, alzò lo sguardo rivolgendosi verso il campanile per vedere che ore fossero, sperava di essere ancora in tempo.
Erano 14:45, si era fatto tardi e il lago distava da lì circa venti minuti a piedi, a meno che non se la fosse fatta di corsa di nuovo, nonostante fosse già stanchissimo.
Però questo gli impediva di fare ritorno a casa per prendere magari alcune cose, come il libro regalatogli dai suoi genitori prima che se ne andassero e a cui era molto affezionato: era uno degli unici ricordi che possedeva.
Calixum dovette lasciare da parte le emozioni e i ricordi dei suoi genitori per poter raggiungere il lago prima che Raghallac partisse senza di lui; se non si fosse presentato sarebbe stata la fine. Ricominciò quindi una corsa sfrenata nella speranza di non incontrare Garun per la strada, di nuovo.
La campana della chiesa vicina suonò tre volte per indicare che erano scoccate le 15:00, ma era finalmente arrivato e vide un uomo vestito di nero, con degli occhiali da sole scuri e un cappello, proprio come l'uomo che entrò in tribunale per aiutarlo con il processo: era lui, ormai aveva imparato a riconoscerlo dai suoi abbigliamenti, dato che era poco consueto vederli da quelle parti.
Raghallac si girò e, con fare beffardo e sicuro, disse: «Alla fine ti sei deciso a venire con me? Sapevo che avresti fatto la scelta giusta e che non saresti rimasto lì a soffrire le angherie di gente come Garun. So che ti stava inseguendo per metterti le mani addosso».
«E tu come lo sai?» gli chiese un po' incuriosito, ma allo stesso tempo spaventato da quanto gli aveva appena detto.
«Io so tutto di tutti, mio caro Calixum.» Si mise poi a ridere, alleviando la tensione per la partenza che il ragazzo avrebbe dovuto fare da lì a poco.
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