Avevo conosciuto Teresa l’estate prima sul set di una commedia corale abbastanza importante. Ci eravamo subito adocchiati reciprocamente, ma come vi ho detto sui set seguo sempre una regola autoimposta che è quella di tenere la libido a freno e non provarci mai esplicitamente con nessuna, men che meno con le attrici. Questo sostanzialmente per non entrare in conflitto con il regista e il produttore, che hanno il diritto di prelazione e potrebbero sentirsi scavalcati. Dato che sul lavoro è sempre importante rispettare le gerarchie, non ho mai soverchiato quelli che sono i sottaciuti rapporti di forza. Tuttavia il mio comportamento apparentemente disinteressato non fa altro che eccitare ancora di più le cagne di turno, ben più desiderose di farsela con me piuttosto che concedersi al regista il quale è abituato ad esercitare la sua pressione su di loro in maniera troppo smaccata. Questo è il motivo per cui, terminate le riprese, le ho sempre puntualmente castigate tutte mentre i poveri directors rimangono sovente a bocca asciutta, interrogandosi sul loro fallimento. Ma non divaghiamo troppo.
Teresa in quel film aveva il ruolo di semplice comprimaria. Interpretava l’amica zoccola della protagonista. Forse perché zoccola lo era anche nella vita. Già dopo il primo giorno di riprese si scopò l’attore protagonista, un fighetto belloccio da copertina che però si diceva ce l’avesse piccolo. Infatti lei lo scaricò subito e passò poi a trastullarsi con l'attrezzo del direttore della fotografia, uomo affascinante ma non abbastanza astuto e interessato alla carriera da adottare le mie stesse regole comportamentali. Dopo una settimana che andava avanti questa tresca a cielo aperto, infatti, il poverino venne licenziato in tronco dal regista in concerto col produttore. Entrambi infatti si erano già ripassati più volte Teresa, sin dalla fase dei casting e della preparazione, e non gradivano affatto che adesso qualcun altro pisciasse sul loro stesso albero. Teresa sul momento ci rimase male ma se ne dimenticò in fretta consolandosi con l’attrezzista, un muscoloso ragazzo di fatica non molto intelligente ma rozzo quanto basta per appagarla. Anche qui però durò poco, perché il regista questa volta si incazzò davvero e le fece una scenata isterica davanti a tutti, con il pretesto di una battuta male intonata. Così lei se ne stette buona per un po’ fino a quando il film non giunse a termine. Inutile dire che durante tutto questo tempo mi aveva sempre lanciato occhiate da vera assatanata mangiatrice di maschi. Aveva una voglia che se la portava via, ma io non ho mai dato segni di cedimento. Ci tenevo al mio posto io, e per fortuna nella mia vita non ho mai ragionato con il cazzo. Per questo ho sempre scopato più degli altri.
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Mi presi tutto il tempo per recarmi alla porta ed aprirle, mentre in sottofondo suonava l’ultimo album degli Strokes. Teresa si era acchittata da gran trombata: vestitino corto e attillato che le arrivava appena sotto il culo, capezzoli che affioravano senza reggiseno a contenerli e tacco dodici. Mi guardò con gli occhi lucidi e la lingua forata dal piercing che faceva capolino tra le labbra carnose da bocchinara.
“Jason… ciao!”.
“Ciao tesoro… sei stupenda”.
Si avvicinò per baciarmi strusciandomi volutamente addosso le tette sode. Poi si inoltrò per la grande casa. Sarà proprio una bella serata, pensai mentre le contemplavo il culo ondeggiare davanti a me.
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“E quindi qual è quest’ultimo film che hai appena fatto?” le chiesi fingendo di mostrare interesse per la sua carriera mentre finivo di cuocere gli spaghetti dentro alla padella con le vongole fumanti.
"Una commedia indipendente..." biascicò la zoccola scolandosi il primo bicchiere di Pecorino. Prontamente le rimboccai il calice.
"Prendine ancora...".
"Sì" disse Teresa porgendomi il bicchiere e accavallando lentamente le gambe. In quel suo gesto calcolato non potei fare a meno di osservarle le mutandine, di un bianco innocente da scolaretta maliziosa.
Aveva una voglia che se la divorava da dentro. Gli spaghetti erano pronti. Afrodisiaci, con le vongole. Terminai la preparazione con un filo di olio a crudo e una spruzzatina di prezzemolo tritato, quindi impiattai e servii.
La troietta tirava su gli spaghetti facendo ogni volta un verso da maiala con la bocca, guardandomi dritto negli occhi. Il mio uccello stava letteralmente esplodendo dentro i jeans, a causa anche di una pasticca di Cialis che avevo preso mezz'ora prima. Una dose robusta da 20 mg, che garantisce 36 ore di prestazioni da urlo. Avevo infatti intenzione di andarci giù pesante e tenerla chiusa in casa a scopare per un bel po'. La pasticca aiuta nella continuità dell'erezione garantendo varie sessioni consecutive, anche sei o sette di seguito, in modo da sfiancare per bene la povera partner e lasciarle un bel ricordo lungo e duro nel tempo.
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Dieci minuti dopo già stavamo in camera da letto. La stanza rossa, come la chiamo io, dato che la grande parete alle spalle del letto è completamente verniciata di un rosso acceso che alimenta le pulsioni sessuali schiudendo le porte della libido.
Per prima cosa, dopo averle sfilato il vestitino, la ammanettai con le mani dietro la schiena come mi ero programmato di fare. Lei non oppose la minima resistenza. Voleva essere dominata. Indossava delle calze a rete, che strappai all'altezza del culo creando una piccola apertura.
"Vai contro il muro".
Lei ubbidì all'istante e si mise contro il muro, inarcando il sedere all'infuori. Mi chinai e iniziai a leccarglielo a dovere attraverso il foro nelle calze, passando la lingua dalla figa al buco del culo e viceversa, rapidamente. La cagna iniziava a gemere e a dimenarsi, e la sua figa era già tutta bagnata.
Mi alzai in piedi, mi slacciai i jeans e tirai fuori il cazzo. Già durissimo grazie al Cialis e alla lunga attesa.
"Abbassati" le ordinai, e per rafforzare il concetto la spinsi in giù facendo pressione sulla testa. Lei si accucciò senza protestare e un secondo dopo già aveva il bestione enorme in bocca, duro come un sampietrino. Iniziai a fotterle la faccia, come già fatto la sera prima al ristorante, ma stavolta con più rabbia. Nella sua bocca l’uccello era diventato, se possibile, ancora più duro. Era quello che volevo. La feci subito rialzare e la sbattei nuovamente contro il muro, accompagnando il gesto con una sonora sculacciata che le lasciò una vistosa impronta rossa sulla natica.
Ed ecco il pene marmoreo che con un colpo solo le entrava adesso dentro le grandi labbra, inchiodandola alla parete, con un unico movimento possente del bacino. Teresa urlò, stavolta molto forte, e io le tappai prontamente la bocca con la mano. Le infilai tre dita in gola da succhiare e intanto iniziai a fotterla da dietro. La stavo aprendo letteralmente, mentre lei non poteva opporsi nè divincolarsi a causa delle manette che le bloccavano le braccia dietro la schiena. Proseguii a spingere di brutto, con sempre maggiore foga e violenza, sbattendola contro il muro con la verga che la trapanava. Non so come fece ma la zoccola riuscì a liberarsi dalle mie dita che le riempivano la bocca e, finalmente libera di emettere versi, dette sfogo a tutto il suo godimento urlando a squarciagola.
"Dimmi che sei la mia troia!" le dissi io nell'orecchio mentre continuavo a fotterla.
"Sono la tua troia, sono la tua troia!" fece subito eco lei latrando come una cagna. Che svergognata, pensai tra me e me mentre continuavo a chiavarla.
Adesso era arrivato il momento di aprirle il culo. La presi per il collo e la trascinai sopra il letto, facendola mettere a novanta. Dato che non poteva sorreggersi con le mani, ancora legate dietro la schiena, la tenevo io in equilibrio trattenendola per i capelli. Adesso era in perfetta posizione a pecorina e il mio Jupiter era pronto a fare ingresso nel più stretto dei suoi orifizi. Ci sputai sopra per lubrificarlo e poi feci entrare piano la cappella, gonfia come una pesca, che si fece strada allargando sempre di più il buchetto. Lei urlava e piangeva, biascicando qualcosa come che era troppo grosso, che le faceva male, eccetera. Ma io non la ascoltavo, impegnato com'ero a farlo entrare tutto per benino. Finalmente ci riuscii, superando lo scoglio della cappella. Adesso proseguire con l'asta era molto più facile, e infatti gliela piantai tutta dentro l'ano, senza ascoltare i lamenti e senza farmi impietosire. Teresa urlava e godeva al tempo stesso mentre cominciavo a fotterla da dietro, con spinte sempre più forti e decise, che la squarciavano letteralmente.
"Ti piace in culo, troia? Eh? Ti piace?" le chiedevo mentre la sodomizzavo a pieno ritmo.
"Sì, mi piace, sì, non smettere!" gridava col fiato in gola.
Ci aveva preso gusto, la gran baldracca. Adesso l'ultima cosa che voleva era che glielo togliessi da lì dietro. Sembrava anzi quasi che quello fosse diventato l'habitat naturale per il mio Jupiter. Continuai così per un bel po’, strattonandola per i capelli e spingendola forte sull’uccello che la inforcava, fino a quando non venni. Sborrai copiosamente dentro il suo buchetto, riempendolo di crema bianca. Quando finalmente glielo stappai, estraendo il cazzo, flutti di sborra calda sgorgarono allegri dal suo ano ormai allargato, colando lungo le cosce.
La troietta cadde riversa di fianco sul letto, stremata. Volse la testa verso di me guardandomi con un'espressione di beata sazietà mista anche ad un certo stupore. Il mio attrezzo, infatti, era ancora bello duro, pronto a ricominciare.
"In piedi, forza" le ordinai. Le liberai una mano e agganciai l'estremità delle manette alla testata. Adesso era legata al letto, ammanettata di fronte a me. Mi guardò con aria interrogativa e io per tutta risposta le sputai in piena faccia. Poi zompai sopra di lei, le allargai le gambe e glielo infilai in figa, nella posizione del missionario. Ricominciai a fotterla mentre Teresa riprese a gemere e a godere, impossibilitata a ribellarsi.
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La serata era appena cominciata.
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