Hofn era una cittadina lagunare poco più a nord di Jökulsárlón, circa a venti chilometri di distanza, a est della calotta glaciale di Vatnajokull.
Circondata dalle montagne innevate e affacciata sul Oceano Atlantico, con circa 2000 abitanti, all'improvviso si ritrovò a dover ospitare circa la metà degli abitanti fuggiti dall'improvviso evolversi degli eventi.26Please respect copyright.PENANAwxRLQib8Hb
La soluzione del governo islandese fu la messa a disposizione degli alloggi-container appositamente attrezzati, l'altra fu la messa a disposizione delle stanza degli hotel di cui la cittadina era famosa durante la stagione turistica.26Please respect copyright.PENANAvTs8xlD4ok
Io e mia madre fummo abbastanza fortunati con questo smistamento.26Please respect copyright.PENANA2fooGggMuZ
Tuttavia sapevamo entrambi che si trattava di una soluzione temporanea, quello che non sapevamo ancora era cosa ne sarebbe stato del nostro futuro.
La terra tremava anche qui a Hofn, ma eravamo ancora piuttosto lontani dallo svolgersi degli eventi, al contrario questo significava che a Jökulsárlón i terremoti erano molto più potenti.
Di notte si poteva osservare in lontananza in quella direzione, riflesso anche nelle nuvole, il bagliore rossastro di quanto stava succedendo oltre quelle montagne.
La polvere nera scendeva anche in questa città formando uno strato spesso su quello nevoso e su ogni cosa.
La Guardia Nazionale Islandese aveva avvisato dell'inizio di una grande eruzione sul vulcano Esjufjoll di una scala che non si vedeva da secoli.
Il calo della pressione sul bacino magmatico sotto la caldera sommitale, ne stava causando lo sprofondamento di diversi metri al giorno, questa era la causa principale dei forti terremoti.
Ciò significava che l'acqua disciolta da centinaia di metri di ghiaccio che coprivano la caldera, con l'aumento progressivo del calore geotermico sarebbero entrati in contatto attraverso le fratture con il magma sottostante causando eruzioni più esplosive sommitali in una sorta di reazione a catena.
Non si sapeva quanto sarebbero durati gli eventi, ma le immagini dei droni avevano mostrato che le grandi fontane di lava dalla linea di frattura in prossimità di Esjufjoll continuavano a eruttare con grande vigore.
E con grande tristezza dove prima esisteva la cittadina di Jökulsárlón ora c'era solo un grande campo lavico nero con chiazze rosse incandescenti, attraversato a sua volta da due grandi canali incandescenti di lava color oro fuso e rame che si riversavano direttamente nelle gelide acque del Oceano Atlantico.
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Dalla mia stanza in hotel scrissi ad Helena:
Io <<Come state?>>
Helena << Noi bene, abbiamo saputo quello che stava succedendo solo dalla radio. Eravamo partiti da poco. Voi come state? >>
Io << Al momento bene, al momento alloggiamo in hotel. Scusa se ti ho fatta stare in pensiero ma sembra che tutta questa polvere nera e la nebbia secca stiano causando qualche interferenza. C'è anche da voi?>>
Helena << Solo una sottile foschia bluastra, puzza di zolfo ma qui è più debole.>>
Questo mi colpì.
Io << Non lo sapevo. Ci sono molte interferenze, quindi non sono molto informato. Al momento impegno il tempo lavorando in un piccolo ristorante. >>
Helena << Questo mi fa piacere, almeno ti distrai, spero che la situazione migliori presto così potrò rivederti.>>
Io << Lo spero anche io, ma credo che dovremmo aspettare un po di mesi prima che succeda e quando succederà avremmo tutti una vita da far ripartire da zero, ma dove?>>
Helena << È vero. Ma la vita si costruisce giorno per giorno, non guardando tutto l'insieme di cose negative. Forse dalle difficoltà potranno arrivare anche le opportunità per tutti di costruire qualcosa di nuovo.>>
Io << Vero, ma in questo momento mi sembra molto più facile da dire che da fare.>>
Helena << Lo so. Ma non perdiamoci d'animo.>>
Io << Non è questione di perdersi d'animo, ma piuttosto il fatto che vorrei un punto, un obiettivo da cui partire.>>
Helena << È la stessa cosa per me. Ma forse è troppo presto per questo, è così per tutti nella vita.>>
Io << Vero, forse hai ragione.>>
Helena << Ora devo andare. Ti amo.>>
Io << Va bene. Ti amo anche io. Spero di rivederti presto.>>
Helena << Stessa cosa.>>
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Le settimane a Hofn trascorsero immobili.
Gli aiuti da Reykjavik e Grindavik attraverso le strade tardavano ad arrivare seguendo una strada più lunga rispetto alla precedente che faceva l'intero giro del Vatnajokull, dal momento che la strada a est era completamente cancellata dalle lave di Esjufjoll.
La terra continuava a tremare e la caduta di polveri accompagnata dalla nebbia secca si erano diffuse su tutta l'Islanda.
In tutta Hofn si sentivano gli abitanti tossire nonostante le mascherine e la sciarpe protettive.
Il fatto che fossimo ancora in pieno inverno non aiutava.
Respirare in pieno inverno aria satura di zolfo vulcanico certamente era un grave problema.
Io stesso ero leggermente influenzato, mia madre invece nonostante le cure mediche peggiorava di giorno in giorno.
Ero seriamente preoccupato per lei.
Le notizie che iniziarono ad arrivare giorni dopo da Esjufjoll non erano buone.
L'attività sismica era aumentata in tutta l'area nonostante l'eruzione in corso.
Finché in una fredda mattinata non solo io ma tutta Hofn venne svegliato da uomini vestiti da militari con divise che non avevo mai visto e trasportato con mia madre in modo forzato, tra una protesta e l'altra fuori e costretti a salire su un bus.
C'erano diverse unità e molto riportavano UNF, Forze dell'Unione Nordica.
Doveva essere successo qualcosa di grosso se l'Unione Nordica era intervenuta qui in Islanda in modo così diretto.
Qualcosa che la Protezione Civile e la Guardia Nazionale islandesi non potevano affrontare da soli.
L'Unione Nordica, o meglio le sue forze militari venivano schierate solo in caso di emergenze estreme come una guerra o una catastrofe a livello nazionale.
L'unica notizia che venimmo a sapere tra una protesta e l'altra fu che eravamo diretti a Reykjavik.
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Durante il viaggio, ogni tanto, il bus veniva mosso da uno scossone, all'inizio credevo si trattasse di buche sull'asfalto, ma poi per qualche strano motivo intuii che si trattavano di scosse di terremoto.
Se si trattava del vulcano Esjufjoll doveva essere successo qualcosa di davvero importante per sentire terremoti del genere a poco più di venti chilometri di distanza.
E poi lo vidi. Anzi, lo vedemmo.
In lontananza, appena oltre l'orizzonte circondato dalle creste innevate, una colonna di cenere grigio scura salì verso il cielo per poi allargarsi e sfondare uno strato invisibile dell'atmosfera.
Nella prima luce del crepuscolo, nonostante il bus in movimento, l'enorme colonna di cenere grigio scura venne attraversata da lampi e folgori e a tratti da bagliori rossastri mentre nel cielo l'enorme ombrello scuro della nube di cenere continuava ad allargarsi gettando la sua ombra scura sul paesaggio circostante.
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Quando l’interminabile fila di autobus ebbe fatto il giro di Vatnajokull e stava imboccando la strada per Reykjavik, la notte vulcanica era calata da orizzonte a orizzonte, fino a questo punto si era allargata la gigantesca ombra di morte della nuvola di cenere nei cieli islandesi.
La polvere nera cadeva sottile ma fitta azionando i tergicristalli automatici dei bus,
Qualunque cosa fosse successo era stata indubbiamente un eruzione gigantesca, molto probabilmente innescata dal collasso della caldera.
Presto tutta l’Islanda sarebbe stata avvolta da tutti quei gas e detriti che attualmente stavano salendo in cielo.
Avevano fatto bene le forze dell’Unione Nordica a intervenire tempestivamente.
L’unico punto di domanda ora era quale sarebbe stato il nostro destino ora che la notte vulcanica stava calando su tutta la nazione..
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Mia madre non sopravisse al viaggio, la sua salute era già gravemente compromessa.
Fu uno shock.
Nel mio silenzio successivo ciò che ricordo fu che venimmo smistati e trasferiti in diverse nazioni dell’Unione Nordica che comprendeva Svezia, Norvegia, Finlandia, Isole Faroe.
La penisola di Reykjanes era l’unica parte dell’Islanda libera dalla banchisa marina, tuttavia per quanto non fosse numerosa come altre nazioni, smistare la popolazione islandese richiese uno sforzo congiunto di numerose navi da parte di diverse nazioni dell’Unione Nordica.
Gli aerei non potevao volare dal momento che i cieli erano saturi dei solfati e delle polveri di Esjufjoll.
La via mare era più sicura, anche se indubbiamente c’era il rischio di imbattersi in qualche banco di ghiaccio di una certa dimensione.
Io e qualche altro islandese venimmo smistati in Norvegia, tuttavia nel sobborgo di Bergen in cui venni collocato non conobbi nessun altro islandese.
Mi venne data assistenza psicologica a spese dello stato, oltre che una completa revisione del mio stato di salute fisica.
Successivamente dopo aver atteso in una stanza di qualche centro rifugiati, mi venne assegnato un piccolo appartamento piuttosto vecchio dotato persino di caminetto, in periferia di Bergen.
Nonostante la mia giovane età, mi chiesero che mansioni avevo già fatto in precedenza, e alla fine venni collocato in un ristorante locale.
Inizialmente fu difficile adattarsi a tutto ciò, dopotutto avevo già perso tutto, compresa mia madre.
Avevo cercato di contattare Helena ma per qualche strano motivo il numero appariva inesistente.
Nel mio cupo silenzio di solitudine inizialmente cominciai a lavorare come lavapiatti.
Non parlavo con nessuno, eccetto le informazioni essenziali sul lavoro, e nel tempo libero lavoravo con l’accetta a spaccare ciocchi di legna tagliata dietro casa, preparando cataste contro la parete di casa mia che in seguito usavo per alimentare il fuoco nel caminetto.
Nel frattempo, nel tempo libero che avevo cercavo informazioni su cosa stava succedendo in Islanda, e venni a sapere che centinaia di persone erano morte intossicate dalla nuvola di gas che stava stazionando sull’ex nazione, e non solo, da mesi.
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L’isola ora era disabitata.
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L’eruzione si era stabilizzata su un livello più moderato.
Le immagini dal satellite avevano mostrato che una nuova grande caldera si era formata al posto di quella che prima era lasommità innevata di Esjufjoll, tuttavia esisteva ancora una linea di frattura attiva dalla quale la lava continuava a eruttare e spingersi verso l’Oceano Atlantico.
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Questo era quanto era accaduto da quello che avevo compreso.
Quando il collasso della caldera aveva raggiunto il punto critico e l’acqua glaciale causata dallo scioglimento geotermico era entrata in contatto con il magma in profondità, sotto la sommità della caldera, aveva innescato una reazione a catena scatenando una serie di violente eruzioni sommitali sempre più violente che avevano generato una colonna di cenere eruttiva alta una cinquantina di chilometri nell’atmosfera.
Questo era durato per settimane.
Nel frattempo la cortina di roccia fusa spinta dall’enorme pressione in profondità nel bacino magmatico di Esjufjoll aveva raggiunto un altezza di mille e ottocento metri, scavando una sorta di lunga depressione nel terreno simile ad un solco nel terreno circondata da cumuli di detriti vulcanici neri.
Queste enormi fontane di lava a milleduecento centigradi avevano non solo emesso una terrificante quantità di gas tossici di vario tipo, ma anche riscaldato una vasta area causando una colossale risalita nell'atmosfera di gas, polveri e aria surriscaldata.
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Così tra la colossale eruzione sommitale causata dal collasso della caldera e quella della linea di frattura delle fontane di lava, colossali quantità di zolfo sono finite nei cieli di tutto il mondo, spinte dai venti atmosferici, mentre a sua volta la nebbia secca si diffondeva dall'Islanda all'Europa e in Nord America.
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Passarono i mesi. Le giornate iniziarono ad allungarsi ma i tramonti e l'alba assunsero il colore rossastro del ferro battuto.
Venne la primavera, e nel frattempo i prezzi dei generi alimentari aumentarono mentre l'inverno resisteva.
Tuttavia questo sobborgo norvegese costruito con case tradizionalmente in legno era abituato da secoli a tutto ciò.
Poi venne metà estate, da lavapiatti passai a cameriere, ormai stavo uscendo dal torpore, ma ciò che restava era la mia solitudine.
Cosa ne era stato di tutti? Come stava Helena? Ero condannato ad una vita di solitudine?
Ero stanco di vivere con un perenne senso di attesa, in questa cittadina dai coloro accesi e variopinti circondata dalle montagne perennemente innevate, così simile a Jökulsárlón e nel contempo così diversa.
Una sera stavo camminando lungo la costa e ripensai a Helena.
Il sole era tramontato da un po, e nonostante il solstizio d'estate fosse passato, c'era ancora un debole chiarore notturno che transitava da un insolito violaceo fino al blu profondo della notte fino al nero, con delle insolite nuvole blu elettrico.
Deciso che era il momento di cambiare pagina, Helena, se era ancora viva, non l'avrei mai più rivista.
Dovevo mettermi alle spalle il passato, avevo subito una grande perdita, questo era vero, ma l'attesa perenne non era la soluzione.
Non era la soluzione a niente.
Guardai quelle insolite nuvole blu elettrico che si increspavano come fluorescenti onde di mare nella luce del crepuscolo nell'oceano del cielo.
Non le avevo mai notate prima.
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L'estate giunse al termine e l'autunno entrò nel vivo, le giornate divennero e le foglie iniziarono a ossidare, mentre le prime sfumature di neve iniziarono nuovamente a imbiancare aspre rocce delle montagne di Bergen.
Le notti sempre più lunghe iniziarono a far scendere il mio umore, e cosa ancora più terribile furono i tramonti color rame.
Per distrarre la mente dai lontani ricordi ma soprattutto dai pensieri, dopo lavoro e dopo aver svolto i soliti lavori di casa, iniziai a fare qualche ora di palestra alla settimana.
Ripresi persino ad avere una vita sociale e nel frattempo le temperature iniziarono a scendere rapidamente.
Fu un giorno di metà novembre che quando uscivo dal lavoro la sera ricevetti un messaggio da un numero sconosciuto.
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<<Sasha, ci sei? Sono Iya.>>
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