La polvere nera ora cadeva come una sottile pioggia costante, simile alla fuliggine, in un sottile strato di fine sabbia nera che si depositata su ogni cosa.
Con quella orrenda nebbia secca invece l'odore di zolfo era diventato penetrante e si attaccava direttamente ai vestiti.
Stavo intabarrato con tanto di sciarpa per proteggere naso e bocca percorrendo le semi-deserte strade di Jökulsárlón mentre mi avviavo verso il cinema dove ci eravamo dati appuntamento.
In lontananza Esjufjoll, se questo era il nome del vulcano, tuonava emettendo bagliori infuocati a tratti celati dalle nubi di cenere e le fontane di lava continuavano a salire per un centinaio di metri prima di ricadere.
In quel momento mi bruciavano leggermente gli occhi e la gola, non potevo farci niente, ma la nebbia secca non era più così intensa, anche se probabilmente si trattava di una schiarita temporanea.
Mi guardai in giro.
Jökulsárlón sembrava letteralmente una città fantasma.
Le strade e la neve erano ricoperte di pulviscolo scuro e quelli che sembravano strani lunghi capelli dorati.
Non mi soffermai a indagare su cosa fossero, avevo fretta.
Accelerai l passo sentendo la neve ghiacciata scricchiolare sotto le mie scarpe, le temperature erano ancora piuttosto al di sotto dello zero e in serata le previsioni davano abbondanti nevicate.
In giro c'erano altre persone intabarrate come me intente nella loro vita quotidiana che seppur alterata da Esjufjoll continuava con un ritmo leggermente diverso.
Il panico non era nella natura degli islandesi.
La paura di essere costretti a lasciare le proprie dimore di sempre c'era sicuramente, ma il vulcano sembrava più un emergenza temporanea anche se sicuramente rendeva le persone più irritabili per colpa dei continui terremoti e le conseguenti notti insonni.
Finalmente raggiunsi la zona del cinema che aveva sulla porta affisso un cartello cui segnalava la propria chiusura a causa di personale indisposto.
Sicuramente a causa nella nuova situazione.
Mi guardai intorno senza vedere traccia di Helena.
Attesi.
Perso nei miei pensieri mi resi conto di come tutto fosse cambiato.
Era tutto stranamente silenzioso, molto lontano dalla movimentata vita di Jökulsárlón che conoscevo.
Eccetto i lontani boati che venivano dal lontano Vatnajokull e da qualche auto in transito c'era una strana quiete..-Hey- la voce di Helena mi fece voltare.
Mi raggiunse. Anche lei indossava una sciarpa e la prima cosa che notai furono i suoi occhi arrossati, come se avesse pianto.
-Ciao.- ci abbassammo provvisoriamente la sciarpa in un breve bacio.
-Tutto bene?- le chiesi d'istinto.
-A parte gli occhi che mi bruciano e un leggero pizzicare alla gola direi di sì.- fece lei.
-Credo sia un problema di tutti in questi giorni, - dissi -vuoi che ci fermiamo da qualche parte oppure...-
-Andiamo a casa tua.- disse lei subito -non ho voglia di rimanere sotto questo smog a lungo.-
-Sono d'accordo. Andiamo.-
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Mano nella mano, dopo essere scesi dal pulman automatico che portava ad una fermata vicina, stavamo percorrendo la strada che portava a casa mia.
Lei non c'era mai stata e sua madre era troppo malata per potersi muovere, suo padre invece non era ancora rientrato a Jökulsárlón a causa del provvisorio isolamento della città a causa del jökulhlaup che aveva spazzato via strade e ponti alcuni chilometri a sud, quando erano iniziate le nuove eruzioni.
In città c'era un certo nervosismo perché si aveva la vaga sensazione di essere sempre più isolati.
Nessuno sapeva se Esjufjoll si sarebbe calmato presto.
Al momento la città non era considerata in pericolo in quanto era a ben quindici chilometri da dove stavano avvenendo le nuove eruzioni.
Ciò nonostante alcuni chilometri più a nord di Jökulsárlón le prime eruzioni erano riuscite a creare delle fratture dalla quale si era formato un grande campo lavico che aveva raggiunto il mare.
Rispetto a settimane prima il paesaggio che percorrevo abitualmente era passato dal bianco a una tonalità più grigia, e la nebbia secca ormai quotidiana contribuiva a rendere questo paesaggio innevato in periferia di Jökulsárlón assai più inquietante, con quel tipico acre odore di zolfo.
-Stamattina quando mi sono svegliata ho visto un autoambulanza che portava via il mio vicino di casa, era morto.- iniziò Helena.
-Cos'è successo?- chiesi-Ha iniziato a soffrire di problemi respiratori da quando sono iniziate le eruzioni, credo che la nebbia secca lo abbia messo a dura prova, - disse lei, -sono preoccupata per mia madre che possa succederle lo stesso.-
-Tua madre è forte, non credo possa succederle qualcosa.- cercai di rassicurarla.
-Già, ma la paura rimane,- rispose Helena, -la gente sta iniziando a morire in città e probabilmente ci vorranno anni prima che possiamo di nuovo coltivare qualcosa, è già successo in passato.-
-Affrontiamo un problema alla volta, non ha senso fasciarci la testa prima del tempo.-
-Spero tu abbia ragione.-
Quando arrivammo a casa mia, presentai Helena a mia madre, una donna di mezza età, bionda, sulla cinquantina, fu più breve del previsto perché lei doveva uscire di fretta, le chiese se avesse voluto fermarsi per cena ma Helena declinò l'invito dicendo che avrebbe rincasato presto a causa della madre che stava poco bene.
Poco dopo salimmo scalzi in camera mia, a causa della polvere nera ovunque, mia madre voleva evitare di spargere per la casa.
-Bella camera...- commentò Helena, facendo un giro e guardando i miei poster appesi sul muro e sull'armadio.
Mi sentivo un po' a disagio a far vedere la mia camera ad una persona nuova, cosa che facevo solo i miei amici.
Poi Helena si soffermò sulla mia scrivania a studiare le rocce con cristalli di quarzo che collezionavo.
-Quelli me lo hanno regalati alcuni amici.- mi giustificai avvicinandomi alle sue spalle.
-Quindi non sei solo un appassionato di stelle.- osservò lei voltandosi verso di me con un sorriso.
-In effetti no, mi piace anche collezionare un po di tutto.-
-Mi piace.- Afferrò una delle rocce e la studiò attentamente con interesse, osservandone i cristalli di quarzo e mettendoli in risalto nella luce della finestra.
Lo rimise a posto.
Quindi si spostò a dare un occhiata alla mia pila di libri, allineati sopra sulla mensola sopra il mio letto, poi perse interesse e si voltò verso di me guardandomi.
Avevo notato subito che il suo interesse per la mia vita privata era genuino, ma avevo anche notato che lo stava usando come una maschera per mantenere una parvenza di normalità in un momento in cui le nostre vite quotidiane iniziavano a incrinarsi, mettendo in discussione la nostra razionalità quotidiana.
-Posso chiederti un favore?- mi chiese poi.
-Sì.-
-Abbracciami, tienimi stretta più che puoi, vorrei sentirti vicino.-
-Così?-
-Si,- lei sospirò sulla mia spalla, - non ne posso più di tutta questa paura, gente che conosco da una vita che improvvisamente viene a mancare, e soprattutto paura del futuro e per mia madre.-
Mi portò le braccia attorno alla vita e mi tenne stretto a se.
Il cuore mi pulsava forte, era bello sentirla con me.
Il suo respiro...Il battito del suo cuore...Poi Helena premette il suo corpo contro il mio.
Di riflesso la baciai sulle labbra. Lei voltò la testa. Pensai di aver sbagliato ad agire in quel modo, ma poi lei sollevò il viso e mise le mani dietro la mia testa, tenendola ferma mentre la sua bocca schiudendosi incontrava la mia baciandomi con trasporto.
In quel momento una vibrazione scosse la stanza.
Non ci facemmo caso.
Continuando a baciarci finimmo sul piumino del mio letto. Le nostre mani si intrecciarono incrociando le dita le une con le altre. Sotto di me, Helena mi guardava negli occhi mentre tra uno schiocco liquido e l'altro il bacio pulsava lento tra di noi. C'era qualcosa di diverso stavolta.
Parole non dette.
Dopo un lungo momento, lentamente mi staccai da lei e ci guardammo.
-Si.- disse lei.
Una parola senza aggiungere altro. La guardai per un lungo istante. Non aveva esitazioni. Ci eravamo compresi come un unica persona. Mi tolsi il maglione e slacciai la cerniera della sua felpa, un po' impacciato. Esitai quando le mie mani scivolarono sotto gli indumenti di Helena. Mani tiepide su pelle bollente.
-Non mordo.- rise lei, capendo il mio imbarazzo.
Lentamente, le mie mani scivolarono sotto la canottiera fino a posarsi sui seni di lei.
-Visto? Non era difficile.- rise lei slacciandomi la fibia della cintura.
Le sfilai il resto, la canottiera e poi il reggiseno.
Ci spogliammo del tutto, e dopo aver lottato brevemente per togliermi i jeans, ci baciammo nuovamente, le sue labbra si schiusero tra le mie mentre le lingue si toccavano in un lento bacio pulsante tra la sua bocca e la mia.
Ci stringemmo l'uno all'altra, i suoi seni premuti contro il mio petto. Le baciai il collo. Poi scesi sempre più in basso, fino ai suoi seni. Le mie mani scivolavano come le sue sulla sua pelle liscia fino alle sue natiche nuda, per poi risalire fino ai fianchi. Helena inspirò profondamente con quel suo respiro profondo. La baciai nuovamente perdendomi in quella bocca aperta tra la mia in quella lotta di lingua contro lingua. Poi tutto evolse in un susseguirsi di carezze, baci e morsi. Sotto di me Helena portò le ginocchia attorno al mio corpo in una forte stretta, merito del judo, e dopo un breve scambio di sguardi ci baciamo di nuovo mentre accogliendomi piano dentro di sé iniziammo piano avanti e indietro a spingerci in un intimo intreccio di sudore e passione fino ad arrivare a stancarci e, finalmente, a dimenticare tutto ciò che esiste al di fuori di questo letto.
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