Pochi giorni dopo Capodanno, ciò che dava forma all'Islanda con la stessa efficienza di un fabbro che modella il ferro fuso, era a pochi metri da noi sfrigolante come metallo incandescente immerso nell'acqua gelata.
La neve continuava a scendere intensa, anche se non più con la stessa intensità di alcuni giorni fa.
Un candido manto bianco, scricchiolante sotto i piedi, dallo spessore che variava da quattro metri, a mezzo metro lungo la porzione di spiaggia non bagnata dalle onde dell'Oceano Atlantico.
Eravamo riusciti a eludere i controlli e i blocchi della Protezione Civile, tuttavia avevamo arrancato per ore nella neve alta e temperature rigide, attrezzati e imbottiti di tutto il necessario per raggiungere la costa, dove le lunghe colate di lava avevano raggiunto l'Oceano Atlantico.
Era ancora molto buio, ma sapevo che dopo il solstizio d'inverno le giornate avevano lentamente ripreso ad allungarsi.
L'eruzione era ancora in corso e il suolo continuava a tremare, senza tuttavia costituire un rischio per le zone abitate, eccetto la caduta di polvere nera.
Erano attive almeno sedici linee di frattura tra il ghiacciaio e la terraferma, dalle quali intense fontane laviche alimentavano grandi flussi lavici, oltre che fondere un'importante parte della massa glaciale che si riversava in mare lungo il fiume diventato in quei giorni tre volte più grande del normale.
Almeno quattro di questi flussi lavici che eruttavano da fratture formatesi lontano dal ghiacciaio avevano raggiunto la costa incontrando il freddo mare, sollevando immani bianche nuvole di valore che a contatto con le rigide temperature dell'aria di meno venti gradi sotto zero si cristallizzavano in una luccicante polvere di cristalli di ghiaccio.
Da questa distanza potevo vedere la parte visibile dell'Oceano Atlantico ricoperta da bianche lastre di ghiaccio.
Ad almeno quaranta metri di distanza, il flusso di lava si muoveva attraverso quel paesaggio innevato come un incandescente rossa colata fusa semi-nera, alimentata ad un chilometro di distanza da una di quelle linee di frattura dalla quale eruttava un intensa fontana di lava dalla lunghezza di un centinaio di metri.
Era incredibile come in un ambiente così gelido potesse coesistere con un simile fenomeno.
Lungo i bordi del flusso lavico si sollevavano deboli nuvole di vapore, nei punti in cui l'acqua della neve disciolta entrava in contatto con la roccia surriscaldata, sopra di esso invece l'aria tremolava con una consistenza vetrosa a causa del calore intenso che si sprigionava dalla lava in movimento.
Nonostante la neve continuasse a scendere ininterrottamente, lungo la costa lo spessore del manto nevoso non superava il mezzo metro, forse a causa della mitigazione marina.
Ciò permise a me ed Helena di arrancare con meno difficoltà nella neve, fino alla linea di costa che incontrava il mare.
-Spettacolare, non trovi.- ammirò lei.
Le gelide onde dell'oceano si infrangevano scrosciando sulla superficie della lava in movimento raffreddandone istantaneamente la superficie in uno sfrigolio di vapore impressionante, prima che la superficie solidificata si fratturasse in un bagliore rossastro che poi trasudava continuando ad avanzare prima dell'infrangersi di una nuova gelida ondata, per poi ricominciare.
-Impressionante direi- risposi osservando metri e metri di costa costellati da bagliori rossastri tra gli strati di lava nera fumanti in lento movimento.
Alcuni bagliori rossastri di breve durata si intravedevano anche sotto la superficie del mare.-Sembra di essere alle Hawaii.- disse Helena.
-Con la differenza che ci sono venti gradi sotto zero.- ironizzai.
-Fuoco e ghiaccio.- osservò lei.
Le presi la mano guantata nella mia.
Nonostante avessi i guanti spessi sentivo le dita intirizzite dal freddo.
Helena strinse la mia, e sentii il calore della sua mano attraverso i suoi guanti fino ai miei.
-Direi che fare tanta fatica per arrivare fin qui ne è valsa la pena.-
-Non ci sono dubbi.-
Un tremore scosse la terra, sicuramente attutito dal manto nevoso.
Oltre allo sfrigolio di sottofondo della lava che entrava nell'Oceano Atlantico, in lontananza si udiva il rumore simile a quello dello scroscio delle onde ma costante provenire dalla fontana di lava in eruzione, per essere udito così distintamente in prossimità di esso doveva essere a dir poco assordante.
Restammo a lungo in silenzio a fissare con poche parole e i fiocchi di neve sempre più rari, quella natura primordiale.
Il flusso di roccia fusa si riversava delle gelide acque dell'Oceano Atlantico, ricoperto di lastre di ghiaccio, solidificandosi ma continuando a rimanere incandescente e continuando ad avanzare attraverso le fredde onde dell'oceano, andando a formare gradualmente una nuova parte di costa dell'Islanda.
Sopra di noi la tempesta stava lentamente schiarendo, lasciando intravedere un freddo cielo stellato tra cui ci si poteva scorgere i bagliori lontani di Orione.
Sottili fiocchi di neve continuavano a scendere, ma perlopiù spinti dal vento.
Mi tolsi la sciarpa, respirando per la prima volta aria fresca da quando ore prima eravamo partiti.
Helena fece lo stesso e sembrò prendere fiato, mentre il vapore si condensava ad ogni respiro in minuscoli cristalli di ghiaccio.
Doveva essere lo stesso per me.
Senza dire nulla ci avvicinammo e in un istante le cristalline nuvole di vapore divennero una sola mentre ci perdemmo l'uno nell'altra. Soli. Tra i fuochi e le nevi. Sotto il cielo infinito.
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