Una vibrazione appena percettibile scosse il contenuto di due dense tazze di cioccolata, appena servite al tavolo.
Nessuno nel locale poco affollato ci fece particolarmente caso, specialmente dopo settimane che il fenomeno era diventato una ricorrenza, come il caffè al mattino presto.
Fuori Jokulsarlon era immersa nella timida luce ocra del Crepuscolo Polare di quasi fine gennaio.
In quel periodo dell'anno le giornate stavano lentamente ricominciando ad allungarsi, anche se al momento continuava a fare molto freddo e le ore di luce erano solo sei: l'alba iniziava alle 10.30 e il tramonto era alle 16.40.
Questo periodo era noto come Crepuscolo Polare, quella fase intermedia in cui nonostante una gradualmente crescente luminosità giornaliera il Sole rimaneva al di sotto dell'orizzonte regalandoci una mite luminosità che decrescere durante il tramonto.
Lo stesso fenomeno inverso accadeva durante l'autunno anticipando l'arrivo della Notte Polare.
-Quali sarebbero i tuoi programmi di questa sera a cui mi accennavi poco fa?- mi chiese Helena assaggiando un cucchiaino di cioccolata.
-Stanno iniziando a trasmettere in questi giorni il film "Toba" in buona parte dei cinema islandesi-, spiegai -ti andrebbe di andare a vederlo?-
Un'altra vibrazione, a malapena percettibile.
-Non sarebbe una cattiva idea. Quanto dura?-
Sorseggiai un sorso di cioccolata, più simile a budino.
-Tre ore circa- dissi -sicuramente non lungo come quel famoso film che abbiamo visto.- ironizzai.
-Su questo non ho dubbi, comunque si potrebbe fare, a che ora comincia?-
-Mi sembra attorno alle 21.00-
-Perfetto, salvo imprevisti ci sarò.-
-Avevi altri programmi?-
-In realtà no, non mi andava di rimanere a casa.-
-"Normalmente in questo periodo"- mi fece eco lei -tutti escono la sera oppure vanno addirittura ad ammirare le fontane di lava.-
-Ok, mi arrendo.- risi.
-Faresti bene.-
Finimmo con calma la cioccolata, tergiversando su altri discorsi vaghi.
Mi piaceva la cioccolata densa, mi ricordava sempre il budino al cioccolato che mangiavo da piccolo.
Quando usciamo alle 17.30 era già calata la notte e c'erano almeno quindici gradi sotto zero.
Alti banchi di neve gelata costeggiavano i lati delle strade semideserta mentre l'aria fredda iniziava a farsi sentire nonostante il pesante giaccone invernale che avevo addosso.
Il solstizio d'inverno era arrivato da oltre un mese, ma nonostante il lentissimo allungarsi delle giornate l'inverno aveva ancora molti mesi davanti.
-Accidenti, fa veramente freddo quando cala la sera.- disse Helena avvolgendosi la sciarpa bianca intorno a collo e viso.
-Non per niente in inglese la chiamano Ice-land-
-Invece la Groenlandia la chiamano Green-land.-Mi prese la mano nella sua con i guanti e ci avviammo verso la fermata delle corriere, accompagnati dallo scricchiolio del sale e della neve gelata sotto le scarpe.
Poco dopo che le strade si divisero verso le rispettive abitazioni, mi ritrovai solo a camminare lungo le strade deserte mentre il gelo rendeva la notte più limpida.
Faceva molto freddo e la maggior parte della neve che ricopriva i lati delle strade e dei tetti di Jökulsárlón in alti cumuli senza dubbio non si sarebbe ritirata fino al disgelo primaverile.
Alte nel cielo nonostante la luce artificiale dei lampioni si vedevano le stelle mentre la luna appena sorta si stava avvicinando al plenilunio.
Guardai in lontananza i bagliori rossastri che costellavano le aree attive del vulcano, in direzione della calotta glaciale di Vatnajokull, enormi nuvole di vapore e cenere continuavano a sollevarsi nel cielo formando una lunga nube che andava a disperdersi in direzione dell'Oceano Atlantico.
Occasionalmente i venti tendevano a spingerla sopra la città dove andava a formare un velo nero che ricopriva ogni cosa, prima che venisse ripulito oppure ricoperto da una nuova nevicata.
Se avessi preso una pala e scavato in profondità nel manto nevoso sarebbero risultate delle striature nere, che poi erano state coperte da una nuova nevicata.
L'eruzione nelle ultime settimane non aveva mostrato segni di rallentamento e diversi flussi lavica che fluivano da diverse fratture formando un fronte più grande, in lento movimento verso l'Oceano Atlantico. Lontano da Jökulsárlón.
Nell'aria, anche in quel momento, a tratti si sentiva il tipico odore di uova marce, tipico dell'idrogeno solforato che proveniva dalla lontana attività vulcanica, quando il vento lo soffiava in direzione della città.
Avviandomi lungo l'ultimo tratto di strada che divideva da casa, ormai in periferia di Jökulsárlón, nella debole luce lunare vidi un movimento attraversare la strada è fermarsi in mezzo alla prateria innevata.
Rallentai incuriosito e aguzzando lo sguardo riconobbi il tipico profilo e la candida pelliccia di una volpe polare.
Era da anni che non ne vedevo una.
Come buona parte delle regioni nordiche l'Islanda pullulava di questi animali selvatici dall'aspetto tenero. Il suo manto bianchissimo tendeva a confonderla con la neve, sicuramente se fosse rimasta immobile non l'avrei mai notata, nemmeno a pochi metri di distanza.
La volpe mi guardò silenziosa per alcuni secondi, poi corse via leggera come l'aria sul manto nevoso finché quasi non la vidi più.
Ripresi a camminare, il candore della neve era tale che potevo vedere anche senza luce artificiale.
Nell'attesa della serata mi sarei fatto una doccia.
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